Solenne Apertura Anno Giubilare della Diocesi

Visita pastorale del Vescovo alla Zona “S. Andrea”

Lettera Pastorale del Vescovo Nicolò


E’ disponibile la prima Lettera Pastorale del Vescovo di Rimini, mons. Nicolò Anselmi.
Pubblicata da ilPonte edizioni, ha per titolo: Amerai, sarai felice e godrai di ogni bene, ora e nei secoli eterni. Sottotitolo della Lettera è: “Desideri, proposte, sogni, frutti del cammino sinodale diocesano”.

Con questa Lettera, il Vescovo Nicolò scrive alla Chiesa riminese alla vigilia dell’Anno Giubilare 2025. In 96 pagine molto scorrevoli, con il tratto familiare che gli è proprio e la capacità di entrare in sintonia con le persone, dunque anche i lettori, il Pastore della Chiesa riminese parte dalla parola pronunciata da Gesù in risposta alla domanda rivoltagli da uno scriba: Qual è il più importante di tutti comandamenti?
Gesù risponde: “Amerai Dio con tutto il tuo cuore e il prossimo tuo come te stesso”. Per il Figlio di Dio la cosa più importante della vita è amare; se farai questo sarai felice e godrai di ogni bene, in eterno.

“Ho scelto questo titolo – Amerai, sarai felice e godrai di ogni bene, ora e nei secoli eterni – per sottolineare il fatto che la felicità è lo scopo della vita, è il grande desiderio di Dio e che l’amore è la strada per essere felici” spiega il Vescovo Nicolò.
Dopo l’Introduzione, mons. Anselmi propone una trattazione in quattro capitoli: La famiglia e la comunità, La liturgia e la vita, L’amicizia e la prossimità e Il giubileo 2025, pellegrini di speranza.
La conclusione è un invito all’unità, nella speranza che la Lettera possa rivelarsi uno stimolo, un’esortazione, un punto di partenza aperto alla creatività di coloro che hanno a cuore il bene di tutti.
“Spero che questa lettera susciti pace, serenità, leggerezza, desiderio di semplicità; – è l’auspicio di mons. Nicolò – spero che possa essere un bicchiere di acqua fresca da poter sorseggiare ogni tanto, una piccola alba da cui ricevere un raggio di speranza”.

La Lettera Pastorale Amerai, sarai felice e godrai di ogni bene, ora e nei secoli eterni. “Desideri, proposte, sogni, frutti del cammino sinodale diocesano” è disponibile qui

Pellegrinaggio ad Assisi

Pellegrinaggio a Loreto con don Vittorio Metalli

Vieni e vedi – serate di catechesi

Anniversari di matrimonio

Solenne Veglia Pasquale

Processione e S. Messa ore 11 delle Palme

Il burraco “for Mutoko”

Anniversari di matrimonio

Perché il nonno è morto prima del mio compleanno?

Non ci sarà quando io farò la prima comunione, non ci sarà quando farò il compleanno, non ci sarà quando….». E da lì un elenco di occasioni nelle quali il nonno non sarà presente. Perché il nonno, nella notte, ha fatto il suo transito. Il Signore è tornato e lo ha preso con sé. Così quando il papà gli ha detto che il nonno non c’era più, Giuseppe di appena otto anni, con la disarmante semplicità dei bimbi, ha colto immediatamente il dramma della morte: l’assenza.

Quel non-esserci-più che è l’incommensurabile tragedia della partenza di qualcuno che amiamo. Perché la vita continuerà, ci saranno altre feste, altri dolori, altri Natali, altri compleanni, ma niente sarà come prima, perché qualcuno mancherà. Il nonno sarà assente, Giuseppe avverte bene il dramma di non poter crescere in sua compagnia.

Mi ha colpito tanto il racconto della lista dei ‘non ci sarà’ di questo piccolo, perché è la protesta per un’ingiustizia subìta che non può passare sotto silenzio. È l’accusa, al modo di Giobbe, di chi protesta e pone Dio sotto accusa: ma non t’accorgi di me, di come soffro, dell’ingiustizia che sto patendo?

Anche se non direttamente rivolto a Dio, Giuseppe protesta in ultimo contro di lui, contesta l’irragionevole presenza della morte nella vita degli uomini. Protesta per un futuro senza qualcuno. Perché è vero che possiamo immaginare il futuro solo insieme a coloro che amiamo. La morte di una persona amata sembra tagliare via, in un lampo, il domani progettato e sognato, e l’assenza diventa vertigine del vuoto che coglie quando si deve immaginare il ‘dopo’ senza chi è partito per un altrove al quale non ci è dato accesso. Il lamento di Giuseppe, il lamento di Giobbe: la protesta di ogni uomo e di ogni donna che si trova davanti al dolore della perdita.

Giuseppe è un bimbo fortunato: la sua famiglia gli ha trasmesso la fede, conosce l’allegria della vita in parrocchia, l’amicizia con gli uomini di chiesa (uno zio vescovo e uno prete), insomma è circondato da un ambiente che da sempre gli ha parlato di Gesù, di questo amico presente in ogni situazione della vita. Aveva incontrato la morte della bisnonna, aveva già fatto i conti con la mancanza.

E anche questa volta i genitori hanno voluto che salutasse il nonno prima che fosse tumulato, non hanno avuto timore di far accostare questo piccolo alla salma del nonno, accanto alla quale ha pregato insieme gli adulti, rispondendo alla recita del rosario in maniera partecipe e serena, ultima preghiera prima dell’ultimo sguardo ad un corpo che da lì a poco sarebbe stato deposto nella terra, ad attendere. Ha partecipato alle due Eucaristie di commiato insieme alla famiglia, sereno, composto, rassicurato, pur nel dolore, dalla serenità che i suoi gli hanno comunicato: quel saluto è un arrivederci.

Il nonno che non ci sarà per la sua prima comunione, sarà presente in maniera nuova, percepibile nella fede, ma non meno reale di quella fisica. La liturgia della Chiesa risponde al suo modo alla protesta di Giuseppe: il nonno ci sarà.

Ci sarà nelle grandi occasioni e in ogni momento della vita del nipotino, più di prima, meglio di prima, libero da malattie e dolori, sciolto dai legami del peccato è ora presenza benedicente e vicina. Ci sarà fino al momento in cui nonno e nipote si ritroveranno, con tutti, proprio tutti, quelli che gli avranno fatto compagnia su questa terra.

E mentre penso al bimbo seduto in prima fila a un paio di metri dalla bara del nonno, prego per tutti quei bambini ai quali è stata negata la possibilità di questo ultimo saluto pensando di proteggerli, così, dallo scandalo della morte. Prego perché anche loro conoscano la ‘normalità’ della vita che è fatta anche del morire. Perché solo affrontando a viso aperto la morte, si può in qualche modo lenire il dolore dei tanti “non ci sarà”.

 

su: Avvenire, 15 febbraio 2022