Incontro giovani universitari

UN GRANELLO DI SENAPE

Un gruppo di giovani delle parrocchie di San Raffaele e del Crocifisso, universitari e lavoratori nati fra il 2001 ed il 2004, hanno scelto di camminare insieme alla scoperta della propria vocazione in compagnia di Gesù. Con loro, alcuni adulti e i nostri sacerdoti si sono messi al servizio di questo miracolo.

L’esperienza ha il nome “Il granello di senape”: il più piccolo dei semi, ma si sa che da esso nasce un albero così grande da poter accogliere tutti.

Il circolo Anspi della parrocchia di San Raffaele è il luogo abituale dell’incontro mensile. Ci si ritrova di sabato mattina alle 10:30 e con calma, tra un dolcetto ed un caffè, si fa colazione insieme, ci si prende il tempo per salutarsi e raccontarsi la vita che si sta facendo, poi dalle 11:00 un paio di ore a disposizione per quello che è il cuore della mattinata: l’incontro con Gesù Parola, nell’ascolto del Vangelo della domenica che si avvicina.

Il percorso di questo primo anno ha visto i giovani confrontarsi sul senso della propria vocazione. Quello che abbiamo iniziato il mese scorso sarà un percorso orientato alla riscoperta del nocciolo della nostra fede, per farla maturare nel suo essenziale, per sperimentare come l’affidare a Gesù la propria vita sia la chiave di volta per essere significativi nel mondo, per vivere in esso da salvati e per dare questa bella notizia a chiunque incontriamo. Cara comunità, prega per questi tuoi figli!

Elena, Michela, Stefano

 

 

 

Oratorio chiuso per maleducazione?

Oratorio chiuso, don Mazzi fa discutere

 

COLLOQUI COL PADRE (don Stefano Stimamiglio, direttore di Famiglia Cristiana)

 Ho raccolto due fra le varie lettere – che mi sono giunte in merito all’edi­toriale di don Antonio Mazzi sul fatto di cronaca locale legato alla chiusura (temporanea, come si è sa­puto dopo, e non a tempo indeterminato come era stato inteso) dell’oratorio di Cicognara, provincia di Mantova, ma diocesi di Cremona, da parte del locale parroco, don Andrea Spreafico a causa di ripetuti e cattivi comportamenti (dettagliati in un cartellone pubblicato fuori dall’ora­torio) da parte di numerosi utenti, piccoli e grandi.

Don Mazzi, con la sua usuale e da tutti amata verve educativa, criticava la decisione del sacerdote e così scriveva: «Anche io sono molto preoccupato, non per il cattivo contegno dei maleducati, ma per il metodo usato dal prete arrabbiato dell’oratorio. Vivendo, io, tra ragazzi ben più difficili di quelli di Cicognara, non ho chiuso le comunità, ma le ho raddoppiate e ho preparato gli educatori, non i sorveglianti o i custodi. Perché il problema sta tutto qui, cioè nella presenza di adulti preparati che non vengono per “tenere in ordine”, ma per aiutare i giovani a crede­re più nella vita sana, sportiva, educata e amichevole».

Quale atteggiamento avere di fronte alla maleducazione e alla man­canza di rispetto in luoghi aperti a tutti e caratterizzati da un progetto educativo preciso, come quello di un oratorio par­rocchiale?

Tenerlo aperto, aumentando alcune modalità di controllo e investendo in “formazione”; o chiuderlo per un giorno, come poi è successo? Don Andrea ha scel­to la seconda via, aprendo così un interes­sante dibattito. Da quanto si legge nelle cronache locali, ha preso quella grave de­cisione come atto estremo (e «senza nes­suna rabbia», precisa lui) per richiamare con un gesto clamoroso piccoli e grandi a una forma di conversione, invitandoli così a un contegno e a una forma di rispetto adeguati al luogo e alle persone che lo frequentano. Sembra che la scelta abbia pagato: l’oratorio adesso è riaperto.

 

Gentile direttore, vorrei esprime­re un pensiero sulla riflessione di don Antonio Mazzi a riguardo del sacerdote che ha chiuso l’oratorio. A don Mazzi sembra una cosa assurda in quanto nella sua comunità ha dei casi sicuramente molto più gravi, però vorrei far notare che proprio da questa mancanza di educazione nell’oratorio di Cicognara cresceranno quei ragazzi che un giorno saranno accolti da Exodus … Don Andrea Spreafico ha tutto il mio sostegno. PAOLO DA LODI

 

Egregio direttore, scrivo a proposito dell’articolo di don Antonio Mazzi, in riferimento al provvedimento del parroco di Cicognara per la chiusura dell’oratorio. Premetto che non si mette in discussione l’efficacia educativa di don Mazzi all’interno delle comunità dove opera e dove sono presenti ragazzi violenti che hanno ucciso, assaltato banche e stuprato.

Il problema a mio avviso è un altro: esiste ancora l’autorità che legittima il rispetto delle regole, che garantisce l’ordine degli ambienti frequentati, l’uso della civiltà nei comportamenti interpersonali? Il fatto che si giustifichino trasgressioni di ogni tipo all’interno di contesti educativi (anche nella scuola i docenti non possono più proferire critiche, si buttano addosso a loro scarpe e altro) fa comprendere che l’emergenza educativa ha raggiunto livelli insostenibili.

La cosa ancor più grave è che a questi comportamenti lesivi delle buone maniere, si accompagnino comportamenti squalificanti di adulti che, invece di contribuire alla correzione, acuiscono la disattesa di regole.

A don Mazzi direi che ha fatto proprio bene don Andrea Spreafico, parroco di Cicognara, a interdire l’accesso all’oratorio: è venuto il momento di non interpellare gli psicologi o gli psichiatri e neanche i sociologi sulla questione giovanile, ma di rendere ancora credibile e rispettabile chi esercita funzioni educative e formative.

Mi spiace per lei, don Mazzi, non si deve estendere la realtà di una comunità dove lei opera, al contesto di una scuola e tanto meno di un oratorio. GERMANA MALCISI

 

don Andrea Spreafico

Sì, la Messa con Gesù vale il vestito della festa

L’elegante e impeccabile nota della Diocesi di Crotone, ripresa da Milano, lascia spazio alla buona fede e alle scuse sincere (che sono subito arrivate). Una leggerezza, certo, questa Messa galleggiante. E tuttavia, una leggerezza che appare generata dal peso che vuole essere accordato alla celebrazione: perché è questo che le ha fatto perdere l’equilibrio.

L’incidente si può certamente chiudere. L’occasione per riflettere, invece, potrebbe essere pacatamente frequentata con qualche vantaggio. Quanto teniamo alla Messa, nel momento in cui non abbiamo tutte le comodità a disposizione?

Nel periodo forte della pandemia, il problema si è presentato con una normalità del tutto inattesa. Non si trattava della circostanza del tutto occasionale in cui mancava il luogo adatto. Il luogo c’era, ma la sua normale frequentazione costituiva una condizione permanente di rischio, che la comunità non poteva sottovalutare. Possiamo discutere sui dettagli (allora tutti, però, erano costretti a improvvisare sull’incerto, a fronte di certezze obiettivamente drammatiche). Ma l’obbligo della prudenza era giustificato.

Molti preti sono rimasti comprensibilmente paralizzati. Qualcuno ha cercato una linea di resistenza nella concelebrazione fra sacerdoti, o per pochi intimi. E qualcuno si è pure inventato delle estrosità assai più imbarazzanti (come la lavanda dei piedi delle sedie).

Devo dirvi la verità: a distanza di tempo, anche alcune trovate che al momento mi avevano precipitato nello sconforto, ora le ricordo persino con una punta di tenerezza. Tutti abbiamo visto filmati e fotografie di chiese dove il sacerdote aveva appoggiato sulle sedie le foto dei parrocchiani che non poteva ospitare fisicamente.

Bene, oggi mi dico che probabilmente (senza colpa di nessuno, parlo anche per me) quei parrocchiani, dal vivo, non avevano ricevuto in così gran numero l’attenzione e l’affezione individuale che, in quel frangente, riceveva la loro immagine. La liturgia ‘ci tiene’ a noi. Non semplicemente perché le riempiamo le chiese, comunque sia: ma perché ha piacere di renderci presentabili al Signore, di presentarci e di essere riconosciuti da Lui. Nel Vangelo, ogni volta che accade, qualcuno guarisce. Fosse anche uno solo, diceva Gesù, lui (o lei) vale la festa di tutti.

Nell’Eucaristia, il Signore ci incontra nel suo corpo proprio: non semplicemente attraverso il corpo d’altri. E noi sappiamo, dal Vangelo, che cosa significa essere interpellati, toccati, nutriti dal corpo del Signore. (La presenza eucaristica si chiama ‘presenza reale’, per antonomasia, per questa ragione, non perché la sua presenza nel mio fratello e sorella sia finta).

Bisogna che accada, dunque. Non semplicemente perché debba misurarsi di volta in volta sul nostro desiderio, sul nostro sentimento, sulla nostra emozione, sul nostro bisogno. Bisogna che accada, in viva memoria di Lui, fino a che Egli venga. Semplicemente.

L’epoca della Messa sottocasa, programmata per riempire tutti gli orari e tutti gli spazi della chiesa, sta per congedarsi. Non sarà da sostituire con il servizio in camera (per noi lo era già diventato). Il megaraduno dell’assemblea che riempie la chiesa o lo stadio diventerà più raro (e sperabilmente più genuino).

La Messa diventerà certamente più preziosa. Il suo luogo sarà più prezioso; il suo tempo sarà più prezioso. Ci saranno più ospiti che fedeli, però: come del resto ai tempi di Gesù. E sarà bellissimo.

Molti abbonati che ora fanno i difficili forse troveranno la cosa troppo scomoda, e perderanno la strada. Molti che non pensavano di avere un posto saranno stupiti ed emozionati di non essere più ‘quelli di fuori’, con Gesù che passa fra i tavoli: con tanto di foto.

Certo, dovranno avere la delicatezza di indossare almeno il vestito della festa, visto che tutto il resto è gratis.


Riflessioni in margine al caso della celebrazione galleggiante SÌ, LA MESSA CON GESÙ VALE IL VESTITO DELLA FESTA di Pierangelo Sequeri, su Avvenire 28/07/2022

le parole dell’Ave Maria

La libertà sessuale dei ragazzi.

«La libertà sessuale dei ragazzi. Com’è difficile trovare le parole per parlarne»

Che cosa si può dire ad una ragazza di 18 anni che ti viene a raccontare, con libertà e forse con candore, che è andata a letto alcune volte con un suo coetaneo non per amore, ma per provare. Che dopo di ciò, non lo ha più cercato perché temeva che lui iniziasse a provare qualcosa per lei. E che non può dirlo ai suoi genitori perché, secondo lei, ne farebbero una tragedia esagerata?

Come suora che lavora in oratorio e prova a stare accanto agli adolescenti, mi sono sentita di richiamarla a un esercizio della sessualità più ragionato e meno banale, ma mi sono accorta che le mie parole risultavano stonate anche a me, perché non facevano presa su questa ragazza, per altre cose così matura e profonda.

Mi sembrava di ripetere qualcosa che sì, è giusto e riafferma un valore, ma forse non coglie qualcosa dei ragazzi di oggi. Io ho solo una decina di anni più di questa ragazza, ma stento a trovare le parole giuste. (suor Cristina)

 

risponde Fabrizio Fantoni, Psicologo e psicoterapeuta (su F.C. 8/2022)

Cara suor Cristina, è già un bene che questa ragazza sia venuta a parlarle, forse sentendo che avrebbe trovato in lei un’ascoltatrice attenta e sensibile, prima ancora che un adulto che dice la sua, anche a fin di bene.
Questa ragazza ha capito che lei l’avrebbe ascoltata fino in fondo, senza interromperla e senza dare giudizi. Perché solo con questo nostro silenzio senza interruzioni possiamo pensare che i ragazzi saranno poi disponibili ad ascoltare quanto gli diremo.
Perché questa adolescente è venuta a raccontarle la sua storia?
Forse per mettere ordine nei suoi pensieri, forse perché ha intuito che la comunicazione attraverso il sesso può attivare sentimenti ed emozioni intensi che vanno oltre il piacere fisico e la novità dell’esperienza. Tant’è che si è ritirata quando si è accorta che il ragazzo iniziava a sentire per lei un’attrazione non solo sessuale.
Proprio da questo forse si può partire per rendere più vicino a questa ragazza l’invito a una sessualità “meno banale”, come lei giustamente sottolinea.
I gesti del sesso sono “parole” forti e intense, rivolte a un’altra persona. Sono incontro con una persona fisicamente e mentalmente differente.
Che cosa voleva dire questa ragazza? Ha tenuto conto che quanto lei comunicava a quel ragazzo poteva diventare l’occasione per uno scambio profondo? Che in quei momenti guardarsi negli occhi apre una prospettiva più ampia che si può cogliere soltanto se lo scambio riguarda anche i sentimenti reciproci?
Allora con questa ragazza si può cercare di ricordare che il piacere provato, che sembra già grande, può esserlo molto di più se si colloca all’interno di una prospettiva di amore: una conoscenza profonda dell’altro, uno scambio di pensieri e di emozioni, una scelta reciproca, non confinata nello spazio angusto dei pochi giorni trascorsi insieme.
Allora forse si aprirà in questa ragazza una prospettiva differente: una disponibilità alla riflessione morale, una rinnovata profondità.

Non scappare dalle persone che soffrono

NON SCAPPARE DALLE PERSONE CHE SOFFRONO

A volte ci avviciniamo a coloro che soffrono,
ma nei nostri cuori c’è una ribellione che acceca
e ci impedisce di vedere la luce di Gesù nella persona che soffre.

A volte possiamo utilizzare i poveri come oggetto della nostra carità
o della nostra competenza professionale
per affermare il nostro valore, per manifestare la nostra gloria.

Fratello mio, sorella mia,
queste poche righe vogliono dirti di non scappare dalle persone che soffrono e che sono ferite.
Osa avvicinarle, toccarle. Osa entrare in comunione con loro.

Allora scoprirai dentro di te e dentro di loro una sorgente di vita, dei semi di risurrezione.
È il grande segreto di Gesù e del suo Vangelo.

In ogni persona, non importa se ferita, indurita, autoritaria, crudele,
apparentemente chiusa a Dio e peccatrice,
c’è una sorgente nascosta di acqua viva pronta a zampillare.

Se tu cammini con Gesù su questa strada,
ti condurrà verso il povero, il debole, l’isolato e l’oppresso,
senza paura né disperazione,
senza collera né ribellione,
senza teorie né soluzioni belle pronte,
senza sensi di colpa né sentimenti di impotenza.

Per farti gustare la pace che nasce dalla comunione dei cuori
Gesù ti rivelerà il senso nascosto della sofferenza e delle tenebre
e come la gioia può sgorgare da tutto ciò che è ferito e spezzato.

Ti rivelerà che lui stesso è nascosto nel povero, nel debole e nell’oppresso.
Ti rivelerà che è nascosto anche nel povero, nel debole e nell’oppresso che è in te.
Ti rivelerà come riscoprire, rinnovare ricostruire e ricevere questa comunione d’amore e di fedeltà
che è l’origine e la sorgente di ogni vita, dell’unità e della pace.
Te lo farà scoprire come un seme piccolo, piccolo, capace di crescere per rinnovare il mondo.

Se vuoi, camminiamo insieme su questa strada;
con i nostri fratelli e sorelle che soffrono
in questo mondo diviso camminiamo insieme, con Gesù, nostro fratello prediletto,
per scoprire che è una strada di speranza.

 


Commento al Vangelo di Marco 7,31-37
su: LaParola.it (11 febbraio 2022 – B.V. Maria di Lourdes)
(di Francesca Favero)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Ha 14 anni e non ci ascolta più

«HA 14 ANNI E NON CI ASCOLTA PIÙ. VORREMMO CHE ANDASSE DALLO PSICOLOGO»

Vorremmo che nostra figlia di 14 anni andasse da uno psicologo, perché non ci ascolta più. Da un anno circa non è più la stessa. Da bambina era brava e ci ubbidiva. Adesso invece è sempre nervosa, ci risponde male per ogni cosa. Non si riesce a farle fare niente in casa, anzi sembra che le sia tutto dovuto. Lascia in giro gli abiti, non distingue tra quelli usati sporchi e quelli lavati e stirati. Vuole solo uscire, o stare al cellulare tutto il giorno. Si veste come vuole lei, anche se noi genitori pensiamo che sia esagerata e non siamo d’accordo. Per non dire della scuola: è in prima superiore, ma non lo vediamo mai studiare. Forse uno psicologq. lo farebbe ragionare un po’. Lei cosa ne dice?  (LORENA)

risponde Fabrizio Fantoni, Psicologo e psicoterapeuta, 3 figli

Cara Lorena, innanzi tutto va chiarito che lo psicologo non è il prolungamento dei genitori, che può convincere un adolescente là dove i genitori non riescono a farsi ascoltare, perché ha un linguaggio o delle tecniche “speciali” e particolarmente convincenti.

Lo psicologo serve quando bisogna cercare il senso dei comportamenti, con l’adolescente e i suoi genitori.

Serve, ad esempio, per capire che cosa l’adolescente sta comunicando a mamma e papà, alla luce di un duplice movimento: da un lato, c’è la presa di distanza dall’infanzia, che appare contemporaneamente come un’età da superare nettamente per diventare grandi, ma anche come una specie di “età dell’oro” in cui si viveva più facilmente.

Da questo punto di vista, vostra figlia, anziché crescere, sembra regredire a una condizione in cui pensa nardsisticamente di poter ottenere tutto, come se fosse ancora “Sua Maestà il bambino”.

Dall’altro lato, c’è la crescita e la definizione della ragazza che vuole diventare aperta alle amicizie, con un carattere dominante.

Forse vostra figlia si immagina come una persona che non obbedendo ai genitori, è libera da ogni vincolo. Come se essere adulti significasse fare quel che si vuole.

È necessario, invece, chiarire che diventare adulti significa entrare in una logica di scambio, in cui si riceve per quel che si dà: a scuola, al lavoro e anche nelle relazioni. A partire dalla famiglia.

Se non si dà qualcosa, non si può ottenere ed è forse da questa considerazione che dovreste partire nel rivedere i vostri atteggiamenti educativi.

Che cosa state dando a vostra figlia, sul piano degli affetti e su quello della partecipazione alla vita di famiglia?
E che cosa le state chiedendo? Tutto questo è cambiato rispetto a quando era bambina, o siete ancora fermi a considerarla come tale?
Lo psicologo può entrare in questa dinamica come una figura “terza” per capire insieme a voi le dinamiche profonde in gioco e le resistenze al cambiamento.

Il compito di farvi ascoltare da vostra figlia, però, rimane vostro.

(tratto da Famigia Cristiana n.3/2022)

Imparare ad amarsi

Da: Messaggero di sant’Antonio dicembre 2021

«Cari Edoardo e Chiara, sono una giovane donna di 31 anni, fidanzata da sette. Vi scrivo perché da qualche mese io e il mio fidanzato abbiamo deciso di sposarci. Ovviamente in me prevale la gioia per un passaggio di vita così bello e importante, ma non vi nascondo che c’è anche un po’ di timore che le cose possano non andare bene. Le mie paure nascono un po’ perché in questi sette anni ci sono stati dei passaggi faticosi nella nostra relazione che in un’occasione, un paio di anni fa, ci avevano portato anche a lasciarci per poi decidere di riprovarci poche settimane dopo. A questo si è aggiunto che dei miei carissimi zii, che per me sono stati come dei secondi genitori, hanno da poco annunciato la loro separazione. Entrambi, ai miei occhi di nipote, erano delle persone mature e impegnate in parrocchia con un percorso di fede significativo. A oggi faccio fatica a credere che mio zio, persona pacata, di cultura e di fede, abbia deciso di lasciare mia zia per un’altra donna. A volte mi chiedo come mai certe coppie, apparentemente senza grandi sforzi, restino tutta una vita assieme, mentre altre no. Mi domando se sia una questione di fortuna, oppure se dipenda da una relazione più tranquilla in cui non si pretende troppo dal partner, o da altro ancora. Vorrei sapere, in vista della scelta di sposarmi, quali sono gli elementi che permettono di capire se una coppia può durare nel tempo». (Una lettrice)


La risposta di Edoardo e Chiara

Imparare ad amarsi

Cara lettrice, ci regali un’occasione d’oro per condividere alcune conoscenze che andrebbero gridate dai tetti dei palazzi delle nostre città, per diffonderle a quante più coppie possibile.

Per risponderti, attingeremo a piene mani dai risultati dei decenni di studi sulla relazione di coppia svolti dai coniugi Gottman (psicologi americani, che hanno dedicato la loro vita alla ricerca sulla relazione amorosa, incon­trando migliaia di coppie lungo gli anni).

Loro affermano che, sapendo a quali aspetti prestare attenzione, basta assistere a qualche minuto di discussione di una coppia che non si trova d’ac­cordo su una qualche questione, per predire, con quasi totale certezza, se quella relazione è desti­nata a finire o meno.

Si è visto, infatti, che l’alta probabilità di separazione in una coppia è dovuta alla presenza, durante i momenti di confronto, di uno o più dei «quattro cavalieri dell’apocalisse», cioè: critica, difesa, disprezzo, ostruzionismo.

 

  • Per critica si intende il lamentarsi, l’emettere giudizi sul proprio partner, il colpevolizzare in­vece che esprimere i propri sentimenti e bisogni in prima persona singolare, in modo propositivo. La persona che vive un’emozione spiacevole legata alla relazione dovrebbe dire i propri sentimenti, i propri bisogni affettivi e ciò che concretamente desidera che il partner faccia, invece che criticare.
  • Per difesa s’intende quel modo di auto-proteg­gersi assumendo il ruolo di vittima e indignandosi dell’altro, invece di assumersi responsabilmente anche solo una parte del problema. La relazione di coppia è il risultato di una collaborazione in cui ognuno di noi ha piccole o grandi responsabilità. È bene concentrarsi su queste, invece che identificarsi con il ruolo passivo e auto giustificante di vittima.
  • Il disprezzo è una forma più grave di critica, che nasce da una posizione di presunta superio­rità (questo è l’indicatore più grave di divorzio). L’antidoto al disprezzo è costruire, all’interno della coppia, una cultura dell’apprezzamento e del ri­spetto reciproco.
  • L’ostruzionismo è il ritiro emotivo dall’inte­razione: si verifica quando un partner è emotiva­mente distaccato, non condivide più, rimanendo chiuso nel proprio mutismo invece di imparare ad auto-consolarsi al fine di rimanere emotivamente connessa al proprio partner.

Ma tutto ciò non basta. Ci sono infatti ulteriori aspetti da tenere sempre presenti:

  • Esprimere la rabbia a livello comportamentale, diventando aggressivi, non ha un effetto calmante, anzi, alimenta ulteriormente il vissuto di rabbia in sé e nell’altro, innescando una catena di reazioni sempre più violente.
  • Le buone relazioni di coppia non sono quelle in cui si trovano soluzioni ai problemi, ma quelle in cui i membri continuano a parlarne e riman­gono emotivamente disponibili. Si è calcolato che, solitamente, il 69 per cento dei problemi di coppia sono irrisolvibili, perché legati a differenze radicate. Quindi conta di più la capacità di ricon­nettersi emotivamente, che non quella di evitare di litigare.
  • In una relazione in cui si sta bene vi è una espressione di apprezzamenti e sentimenti posi­tivi in proporzione di 5 a 1 rispetto alle critiche e ai sentimenti negativi.

Cara lettrice, molti altri sono i dati empirici che ci offrono i coniugi Gottman, e ovviamente non possiamo elencarli tutti, ma ti auguriamo che tu insieme al tuo futuro marito possiate scoprire cosa funziona e cosa non funziona nella vostra relazione e umilmente mettervi in apprendistato dell’arte di amare ed essere amati.

Non ci si sposa perché ci si ama, ma per imparare ad amarsi.

Edoardo e Chiara Vian

            Messaggero di sant’Antonio dicembre 2021

 

 

Incontri giovani universitari 2020

Incontro con l’Assistente nazionale ACG

Venerdì Santo – Meditazione di Papa Francesco

Parrocchia del Crocifisso (Sant’Andrea dell’Ausa)

SETTIMANA SANTA
VENERDI’ SANTO

Dall’udienza settimanale di Papa Francesco 8 aprile 2020

Apriamo il Vangelo.
Guardiamo al Crocifisso

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In queste settimane di apprensione per la pandemia che sta facendo soffrire tanto il mondo, tra le tante domande che ci facciamo, possono essercene anche su Dio: che cosa fa davanti al nostro dolore? Dov’è quando va tutto storto? Perché non ci risolve in fretta i problemi? Sono domande che noi facciamo su Dio.

Ci è di aiuto il racconto della Passione di Gesù, che ci accompagna in questi giorni santi. Anche lì, infatti, si addensano tanti interrogativi. La gente, dopo aver accolto Gesù trionfalmente a Gerusalemme, si domandava se avrebbe finalmente liberato il popolo dai suoi nemici (cfr Lc 24,21). Si aspettavano, loro, un Messia potente, trionfante, con la spada. Invece ne arriva uno mite e umile di cuore, che chiama alla conversione e alla misericordia. Ed è proprio la folla, che prima l’aveva osannato, a gridare: «Sia crocifisso!» ( Mt 27,23). Quelli che lo seguivano, confusi e spaventati, lo abbandonano. Pensavano: se la sorte di Gesù è questa, il Messia non è Lui, perché Dio è forte, Dio è invincibile.

Ma, se andiamo avanti a leggere il racconto della Passione, troviamo un fatto sorprendente. Quando Gesù muore, il centurione romano che non era credente, non era ebreo ma era un pagano, che lo aveva visto soffrire in croce e lo aveva sentito perdonare tutti, che aveva toccato con mano il suo amore senza misura, confessa: « Davvero quest’uomo era Figlio di Dio» ( Mc 15,39). Dice proprio il contrario degli altri. Dice che lì c’è Dio, che è Dio davvero.

Possiamo chiederci oggi: qual è il volto vero di Dio? Di solito noi proiettiamo in Lui quello che siamo, alla massima potenza: il nostro successo, il nostro senso di giustizia, e anche il nostro sdegno. Però il Vangelo ci dice che Dio non è così. È diverso e non potevamo conoscerlo con le nostre forze. Per questo si è fatto vicino, ci è venuto incontro e proprio a Pasqua si è rivelato completamente. E dove si è rivelato completamente? Sulla croce. Lì impariamo i tratti del volto di Dio. Non dimentichiamo, fratelli e sorelle, che la croce è la cattedra di Dio.

Ci farà bene stare a guardare il Crocifisso in silenzio e vedere chi è il nostro Signore: è Colui che non punta il dito contro qualcuno, neppure contro coloro che lo stanno crocifiggendo, ma spalanca le braccia a tutti; che non ci schiaccia con la sua gloria, ma si lascia spogliare per noi; che non ci ama a parole, ma ci dà la vita in silenzio; che non ci costringe, ma ci libera; che non ci tratta da estranei, ma prende su di sé il nostro male, prende su di sé i nostri peccati. E questo, per liberarci dai pregiudizi su Dio, guardiamo il Crocifisso.

E poi apriamo il Vangelo. In questi giorni, tutti in quarantena e a casa, chiusi, prendiamo queste due cose in mano: il Crocifisso, guardiamolo; e apriamo il Vangelo. Questa sarà per noi – diciamo così – come una grande liturgia domestica, perché in questi giorni non possiamo andare in chiesa. Crocifisso e Vangelo!

Nel Vangelo leggiamo che, quando la gente va da Gesù per farlo re, ad esempio dopo la moltiplicazione dei pani, Egli se ne va (cfr Gv 6,15). E quando i diavoli vogliono rivelare la sua maestà divina, Egli li mette a tacere (cfr Mc 1,24-25). Perché? Perché Gesù non vuole essere frainteso, non vuole che la gente confonda il Dio vero, che è amore umile, con un dio falso, un dio mondano che dà spettacolo e s’impone con la forza. Non è un idolo. È Dio che si è fatto uomo, come ognuno di noi, e si esprime come uomo ma con la forza della sua divinità.

Invece, quando nel Vangelo viene proclamata solennemente l’identità di Gesù? Quando il centurione dice: “Davvero era Figlio di Dio”. Viene detto lì, appena ha dato la vita sulla croce, perché non ci si può più sbagliare: si vede che Dio è onnipotente nell’amore, e non in altro modo. È la sua natura, perché è fatto così. Egli è l’Amore.

Tu potresti obiettare: “Che me ne faccio di un Dio così debole, che muore? Preferirei un dio forte, un Dio potente!”. Ma sai, il potere di questo mondo passa, mentre l’amore resta. Solo l’amore custodisce la vita che abbiamo, perché abbraccia le nostre fragilità e le trasforma. È l’amore di Dio che a Pasqua ha guarito il nostro peccato col suo perdono, che ha fatto della morte un passaggio di vita, che ha cambiato la nostra paura in fiducia, la nostra angoscia in speranza.

La Pasqua ci dice che Dio può volgere tutto in bene. Che con Lui possiamo davvero confidare che tutto andrà bene. E questa non è un’illusione, perché la morte e resurrezione di Gesù non è un’illusione: è stata una verità! Ecco perché il mattino di Pasqua ci viene detto: «Non abbiate paura!» (cfr Mt 28,5). E le angoscianti domande sul male non svaniscono di colpo, ma trovano nel Risorto il fondamento solido che ci permette di non naufragare.

Cari fratelli e sorelle, Gesù ha cambiato la storia facendosi vicino a noi e l’ha resa, per quanto ancora segnata dal male, storia di salvezza. Offrendo la sua vita sulla croce, Gesù ha vinto anche la morte. Dal cuore aperto del Crocifisso, l’amore di Dio raggiunge ognuno di noi. Noi possiamo cambiare le nostre storie avvicinandoci a Lui, accogliendo la salvezza che ci offre.

Fratelli e sorelle, apriamogli tutto il cuore nella preghiera, questa settimana, questi giorni: con il Crocifisso e con il Vangelo. Non dimenticatevi: Crocifisso e Vangelo. La liturgia domestica, sarà questa. Apriamogli tutto il cuore nella preghiera, lasciamo che il suo sguardo si posi su di noi. e capiremo che non siamo soli, ma amati, perché il Signore non ci abbandona e non si dimentica di noi, mai. E con questi pensieri, vi auguro una Santa Settimana e una Santa Pasqua.

Schegge (impazzite) di Vangelo

“Schegge (impazzite) di Vangelo” è il commento al Vangelo del giorno realizzato da alcuni parrocchiani. Anche tu puoi contribuire a questa proposta, contatta don Eugenio!

Il Campo Lavoro che unisce

Ci sono tanti modi di unirsi, di definirsi gruppo, di definirsi comunità.

Lo si fa in nome di qualcuno (e Qualcuno), di qualcosa, di un ideale, di un movimento, di un modo di vestirsi o atteggiarsi,…

Sabato e domenica scorsi, 6/7 aprile 2019, sì è svolta la 39a edizione del Campo Lavoro Missionario e il fermento dei gruppi giovanili (e non solo) della nostra parrocchia è sempre tanto per questo evento: dalla piegatura dei sacchi, alla consegna e raccolta per le vie della parrocchia, a finire alla vendita e smistamento nel Campo alle Celle.

“Cambiare noi per cambiare il mondo”, lo slogan evergreen della nostra iniziativa diocesana, unica in Italia per estensione e coinvolgimento. Perché il “Campo-lavoro è un Capo-lavoro”, come ama ripetere il nostro Vescovo. Ed è vero.

Nella mia mente, se dovessi dare un volto a queste due giornate intense di lavoro, sudate e sfacchinate, un’immagine, utilizzerei questa:

Scattata domenica dopo la Messa al campo, questi sono una buona parte dei così detti “giovani del Crocifisso”. A volte, troppo spesso, separati in casa: Scout di qua, AC di là. Non sempre ci sentiamo parte di una Comunità unita in Cristo. E’ stato bello collaborare insieme come Parrocchia, come Chiesa Diocesana, insieme ad amici educatori e capi scout, ragazzi, giovani e adulti di altre Parrocchie, della nostra Zona Pastorale e della nostra Parrocchia. Spero non sia solo un mio pensiero “maturo” ma sia anche un entusiasmo toccato dai ragazzi che abbiamo accompagnato in questa esperienza e dei “colleghi” educatori.

Il servizio unisce. Il Campo Lavoro diventa quindi scuola, tirocinio. E se allora dietro allo spostare degli scatoloni, al mercatino, al caricare sacchi o rottami su un pulmino, all’organizzare una festa o una veglia, all’attenzione di fare due foto per raccontare sui social network la nostra parro, c’è un costruire Comunità che ci ri-unisce in Cristo, avanti!

Spero che lo stesso spirito che vedo io dietro questa foto ci possa accompagnare nelle celebrazioni comunitarie della Settimana Santa, alla Pasqua e magari arrivi fino all’assemblea parrocchiale, in una logica che punti all’unità in Cristo prima ancora della particolarità dei carismi e delle cose “da fare”.

E se una foto innocua di giovani non deve essere un manifesto, lo sia almeno la conclusione di Papa Francesco alla sua esortazione “Christus Vivit” (N°299):

Cari giovani, sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso. Correte «attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci»

Filippo Pasquini




Esercizi Spirituali 2019

Estate al Crocifisso: Incontro con i Carabinieri

Un passo avanti nella preghiera

I Mercoledì della Formazione

Il gruppo adulti dell’Azione Cattolica della nostra parrocchia ha organizzato 5 serate su temi di attualità, nella nostra parrocchia, chiamando ogni volta esperti sull’argomento.

 

Qui a disposizione ci sono i materiali degli incontri.

 

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Mercoledì 4 marzo 2018

DONNE E VIOLENZA

Interviene: Silvia Tagliavini, psicologa

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Mercoledì 7 febbraio 2018

FINE VITA: CHI DECIDE?

Interviene: Antonio Polselli, oncologo e presidente del Centro Culturale Paolo VI

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Mercoledì 10 gennaio 2018

I GIOVANI: “DIO A MODO MIO”

Interviene: Manuel Mussoni, prof. di religione e presidente di A.C.

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Mercoledì, 29 novembre 2017

IL DRAMMA DEL GIOCO D’AZZARDO

Interviene: Paolo Maroncelli di “Slot Mob”

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Mercoledì, 25 ottobre 2017

LAVORO: NUOVI MODELLI E NUOVE PROSPETTIVE